TRIBUNALE DI CAGLIARI, sez. lavoro, 15 novembre 1995, n. 439 — Porcella Presidente – Grandesso-Silvestri Estensore
Esecuzione
forzata per obbligazioni pecuniarie — Pignoramento mobiliare — Mobili di
proprietà di un ente pubblico — Destinazione a pubblico servizio —
Impignorabilità.
(Cod.
civ., artt. 826 comma 3°, 828 comma 2°, 830 comma 2°)
Le macchine fotocopiatrici e tutte le altre attrezzature per ufficio in
dotazione ad un ente pubblico, trovandosi in un rapporto di immediata
strumentalità rispetto agli scopi che detto ente persegue, hanno di per se
stesse natura indisponibile e non possono, pertanto, costituire oggetto di
pignoramento (1).
(1) Sull’impignorabilità dei beni della P. A. destinati ad un pubblico servizio.
La
sentenza che si annota conclude un giudizio di appello, promosso dall’Amministrazione
X avverso una sentenza pronunciata dal Pretore di Cagliari, in veste di
giudice dell’esecuzione.
La
vicenda è quella di un procedimento monitorio intrapreso da Y nei
confronti di X e culminante nel pignoramento di alcune attrezzature per
ufficio — trattavasi, nella specie, di una coppia di fotocopiatori — di
proprietà di quest’ultima. Contro tale atto proponeva opposizione l’esecutato,
sostenendo che le macchine in oggetto non fossero pignorabili in virtù della
loro natura di beni patrimoniali indisponibili. Il ricorso, tuttavia, veniva
rigettato dal Pretore, il quale ravvisava tra i beni in questione e gli scopi
pubblici dell’ente un mero rapporto di strumentalità indiretta, che il
medesimo giudice riteneva insufficiente ai fini dell’applicazione del c. d.
degli artt. 830 comma 2°, 828 comma 2° e 826 comma 3° cod. civ.
La
decisione in commento, che pure si fonda su presupposti giuridici non dissimili
da quelli che caratterizzano la sentenza di primo grado, ne ribalta
integralmente le conclusioni, accogliendo il gravame. Secondo il Collegio,
infatti, le macchine fotocopiatrici, così come anche i computers
e — più in generale — tutte le attrezzature per ufficio, rappresentano
strumenti “indispensabili per il buon funzionamento dell’apparato
organizzatorio attraverso il quale […] l’ente è posto in grado di operare
per il perseguimento dei propri scopi”. Detti beni, invero, analogamente ai
locali ed agli arredi
dell’Amministrazione, hanno natura indisponibile (art. 828, comma 2°, cod.
civ.), essendo di per se stessi destinati allo svolgimento di un pubblico
servizio ([1]).
In
generale, rispetto al problema della responsabilità per inadempimento della P.
A., è stato a suo tempo chiarito ([2])
che la condanna al pagamento di una somma di denaro — sia essa pronunciata dal
giudice amministrativo o da quello ordinario — pone il soggetto pubblico in
una posizione analoga a quella di un comune debitore, con conseguente
applicabilità degli artt. 2740 ss. cod. civ. Anche in questi casi, dunque,
l’adempimento dell’obbligazione permane un atto dovuto, insuscettibile di
essere subordinato all’esercizio dei poteri discrezionali nei quali si
concreta tipicamente l’azione amministrativa ([3]).
Sul
piano dei principi, la conclusione di cui si è dato conto ha modo di reggersi
sul disposto dell’art. 28 cost., che estende automaticamente
all’amministrazione statale la responsabilità civile posta dalla legge in
capo ai pubblici dipendenti, in virtù del rapporto di rappresentanza organica
che lega l’una agli altri ([4]).
Più in generale, non sembra fuori luogo ricollegare la responsabilità della P.
A. al principio fondamentale della sovranità popolare (art. 1, comma 2°, cost.),
in base al quale il potere di supremazia dello Stato sul cittadino conserva una
propria ragion d’essere soltanto nei limiti in cui l’attività del primo
risulti finalizzata ad una tutela effettiva — sia pure mediata — del
secondo. È, appunto, in tale chiave funzionale che deve concepirsi il regime
della esecuzione forzata sui beni di proprietà pubblica ([5]),
frutto della unione di disposizioni codicistiche — aventi natura sia
sostanziale che processuale — e di normazione speciale ([6]).
Nell’ambito
della procedura esecutiva per espropriazione, in particolare, tutti “gli
oggetti che il debitore ha l’obbligo di conservare per l’adempimento di un
pubblico servizio” sono specificamente sottratti al pignoramento mobiliare ai
sensi dell’art. 514 n. 5 cod. proc. civ. Nonostante sia ragionevole nutrire
seri dubbi circa l’effettiva intenzione del legislatore di considerare, con
tale disposizione, anche i beni appartenenti al debitore pubblico — e le
perplessità, in questo senso, sono alimentate dal tenore delle rimanenti
ipotesi di impignorabilità elencate nell’art 514, tutte volte a garantire
alla persona dell’esecutato una esistenza libera e dignitosa — nulla,
tuttavia, impedisce di applicare la medesima a favore della P. A., sulla base di
una interpretazione letterale ([7]).
A parte questo, occorre, tuttavia, osservare che la previsione in esame —
dettata in tema di pignoramento mobiliare — non potrebbe mai essere riferita
ai beni immobili. Essa, infatti, derogando al principio generale della
responsabilità patrimoniale, assume carattere tassativo (art. 14 disp. prel.
cod. civ.) e non si presta a simili letture estensive ([8]).
Non
è, dunque, tanto alla disciplina processualistica che bisogna guardare — ai
fini dell’esatta individuazione del regime dei beni pubblici in sede esecutiva
— quanto, piuttosto, a quella di diritto sostanziale, stabilita dagli artt.
822 ss. cod. civ. Se infatti si pone mente alla ormai nota tripartizione
adottata dal codice ([9]),
è facile osservare che — fatta sempre salva una difforme volontà legislativa
— i beni del demanio “sono inalienabili e non possono formare oggetto di
diritti di terzi” (art. 823, comma 1°), mentre quelli afferenti il patrimonio
indisponibile “non possono essere sottratti alla loro destinazione” (art.
828, comma 2°) ([10]).
In
siffatto contesto, il carattere della impignorabilità — che contraddistingue
in modo inderogabile entrambe le categorie ([11])
— rappresenta solamente un particolare aspetto di una situazione più
complessa coinvolgente la res:
situazione a sua volta qualificabile in termini di incommerciabilità
o di insottraibilità ad una pubblica
destinazione ([12]).
Da
quanto esposto finora, appare chiaro come la garanzia patrimoniale prestata dal
soggetto pubblico a copertura dei propri debiti si concentri nei soli beni
disponibili, rispetto ai quali l’azione esecutiva non conosce limiti ([13]). Per sua stessa
definizione, il patrimonio disponibile assolve, infatti, una funzione del tutto
secondaria rispetto al soddisfacimento del pubblico interesse ([14]),
tale da indurre la giurisprudenza ad affermare che gli oggetti, il denaro e gli
immobili che vi rientrano “non fanno parte della categoria dei beni
pubblici”, costituendo essi “proprietà privata pura e semplice degli enti
territoriali (e di ogni altro ente pubblico) ai quali appartengono” ([15]).
Può,
pertanto, fondatamente ritenersi che l’area operativa del principio di
responsabilità patrimoniale, rispetto alla P. A., assuma un’estensione
variabile a seconda del criterio adoperato in concreto per separare la categoria
residuale dei beni disponibili dal patrimonio pubblico vero e proprio. Sotto
questo aspetto, i maggiori problemi di qualificazione della fattispecie sono,
senza dubbio, determinati dalla previsione (art. 826, comma 3° cod. civ.) che
attribuisce natura indisponibile a tutti i beni “destinati ad un pubblico
servizio” ([16]).
Ora,
è noto che mentre il tradizionale orientamento dottrinario e giurisprudenziale
concepiva tale destinazione in un senso piuttosto ampio, quale conseguenza —
anche solo potenziale — di un mero atto di volontà del dominus ([17]),
la soluzione interpretativa oggi unanimemente accolta esige, invece, ai fini
dell’applicazione del regime della indisponibilità, un effettivo utilizzo del
bene in ordine all’immediato perseguimento di finalità pubblicistiche ([18]),
a prescindere dalla circostanza che esso compaia o meno nei registri e negli
inventari previsti dalla legge ([19]).
L’azione esecutiva avente ad oggetto somme di denaro o crediti della P. A., in
particolare, non può essere paralizzata dal mero dato formale dell’iscrizione
di essi nel bilancio preventivo dello Stato o dell’ente pubblico, non potendo
da ciò “desumersi un vincolo di destinazione in senso tecnico idoneo a far
ricomprendere tali somme o crediti nell’ambito del patrimonio indisponibile”
([20]).
L’evoluzione
registratasi in questo ambito fa sì, dunque, che i rapporti di diritto comune
intercorrenti tra cittadini (o altre Amministrazioni) e P. A. siano oggi
disciplinati in maniera più equa rispetto al passato. L’aver optato per un
criterio di tipo sostanziale, tuttavia, pone sovente i giudici di fronte ad
alcune difficoltà, non risultando ancora ben chiaro — e la vicenda che si
commenta dimostra fino a che punto la materia sia incerta — in quale occasione
il rapporto di strumentalità tra bene e pubblico interesse possa obiettivamente
definirsi come immediato ([21]).
In effetti, però, l’esercizio, in sede giurisdizionale, di una discrezionalità
interpretativa così ampia appare, almeno in parte, giustificato dal notevole
grado di astrattezza insito nella stessa nozione di pubblico servizio, che viene comunemente riferita a “qualunque
attività degli enti pubblici […], sia che si risolva in prestazioni
direttamente utili ai cittadini, sia che si risolva in limitazione alla loro
libertà, sia che costituisca scopo dell’ente pubblico, sia che costituisca
mezzo ad uno scopo, eccettoché […] sieno
semplicemente destinati alla produzione di un reddito” ([22]).
Si
può, in definitiva, affermare che “i limiti di pignorabilità dei beni
patrimoniali dello Stato o degli enti pubblici vanno individuati concretamente,
in relazione alla natura o alla destinazione degli specifici beni dei quali di
volta in volta si chiede l’espropriazione” ([23]).
Ai fini di un puntuale rispetto del principio della certezza, spetta, invero, alla giurisprudenza l’onere di
classificare in modo razionale — attraverso una paziente opera ricostruttiva
— le diverse situazioni concrete le quali sottintendano la indisponibilità
della res; evitando, nel contempo, di
entrare nel merito delle valutazioni discrezionali compiute
dall’Amministrazione nell’ambito della propria potestà organizzativa ([24]).
Filippo Nissardi
([1]) Si osservi, a questo proposito, che sotto un profilo formale la pronuncia in oggetto mantiene le macchine per ufficio al di fuori della categoria degli arredi pubblici, prevista dall’art. 826, ultimo comma cod. civ.
([2]) V. Corte cost., 21 luglio 1981, n. 138, in Giur. Cost., 1981, I, p. 1326; Foro it., 1981, I, c. 152; Giur. it., 1982, I, c. 154, con nota di G. GRECO, La questione dei limiti di pignorabilità dei crediti e del denaro degli enti pubblici al vaglio della Corte costituzionale; Giust. civ., 1981, I, p. 2147, con nota di N. CATALANO; Cass., 10 luglio 1986, n. 4496, in Rep. Foro it., 1986, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie, nn. 17 e 19; Cass., sez. unite, 14 febbraio 1987, n. 1609, in Foro it., 1987, I, c. 2150, con nota di richiami; Cass., sez. unite, 9 marzo 1979, n. 1464, in Giust. civ., 1979, I, p. 1768, con nota di M. R. MORELLI.
([3]) Da qui la giurisdizione del giudice ordinario, in sede di esecuzione forzata ai danni della P. A., a prescindere dalla natura delle questioni introdotte dalle parti nel successivo giudizio di opposizione: cfr. Cass., sez. unite, 14 febbraio 1987, n. 1609, cit.; Cass., 27 ottobre 1989, n. 4505, in Rep. Foro it., 1989, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie, n. 16. Secondo l’opinione tradizionale, invece, l’azione esecutiva davanti all’A. G. O. si sarebbe dovuta ritenere improponibile per difetto di giurisdizione, tutte le volte in cui avesse preso di mira beni aventi natura indisponibile: così Cass., sez. unite, 15 aprile 1978, n. 1780, in Rass. Avv. Stato, 1978, p. 684. Sullo stesso tema, cfr. F. BUCOLO, L’opposizione all’esecuzione, Padova, 1982, p. 379 ss.
Il diritto di credito (derivante da una sentenza di condanna pronunciata) contro l’Amministrazione può anche farsi valere di fronte al giudice amministrativo, attraverso l’instaurazione di un giudizio di ottemperanza. Questa particolare tutela procede in modo del tutto indipendente rispetto all’ordinaria azione esecutiva (Cass., sez. unite, 9 marzo 1981, n. 1299, in Foro it., 1981, I, c. 636), ma è limitata ai soli casi in cui la soddisfazione della pretesa creditizia sia subordinata allo svolgimento di un’attività discrezionale da parte di organi amministrativi (Cass, sez. unite, 3 febbraio 1988, n. 1074, in Giust. civ., 1988, I, p. 2337, con nota di P. STELLA RICHTER).
([4]) È, questa, l’opinione maggiormente accreditata: cfr. G. BRONZETTI, La responsabilità nella Pubblica Amministrazione, Padova, 1993, pp. 6 e 29 ss.
([5]) Non sottintendendo tale espressione l’esistenza di distinte categorie concettuali di proprietà, pubblica e privata, bensì richiamando due differenti categorie giuridiche di beni, la prima delle quali presenta una peculiare disciplina positiva (inalienabilità, inusucapibilità, etc.): v. Cass., 11 marzo 1992, n. 2913, in Rep. Foro it., 1992, voce Usucapione, n. 10).
([6]) Sono diverse le norme speciali che si preoccupano di sottrarre all’azione esecutiva i crediti ed il denaro liquido destinati a specifiche finalità pubblicistiche, quali, ad esempio, quelle relative alla retribuzione del personale dipendente: cfr. art. 1 d. l. 25 maggio 1994, n. 313; art. 11 d. l. 18 gennaio 1993, n. 8, convertito, con modificazioni, nella l. 29 marzo 1993, n. 68; art. 1, comma 5, d. l. 18 gennaio 1993, n. 9. Assai più rare, invece, le disposizioni generali, che estendono il regime della impignorabilità a tutti i beni facenti parte del patrimonio dell’Amministrazione. Pare isolata, in questo senso, la previsione dell’art. 26, d. p. r. 29 marzo 1973 n. 156 (codice postale), in base al quale “Non possono essere pignorati, né sequestrati i mobili, i veicoli, gli strumenti, il denaro, le carte-valori ed in genere gli oggetti comunque destinati od adibiti ai servizi postali e delle telecomunicazioni, gestiti direttamente dall’Amministrazione delle poste e telecomunicazioni e dall’Azienda di Stato per i servizi telefonici”.
([7]) V., ad es., Trib. Napoli, 14 dicembre 1984, in Giust. civ., 1985, I, p. 513, con nota di riferimenti. La soluzione appena prospettata potrebbe anche ricavarsi, secondo alcuni (S. CASSARINO, La destinazione dei beni degli enti pubblici, Milano, 1962, p. 150, nota 57), dal disposto dell’art. 514 n. 4 cod. proc. civ., rappresentando i beni destinati ad un pubblico servizio “gli strumenti e gli oggetti di cui l’ente pubblico non può fare assolutamente a meno per l’esercizio delle sue funzioni, le quali sono per esso ciò che la professione, l’arte o il mestiere sono per la vita dei privati”. Ma la tesi stride con l’orientamento della giurisprudenza dominante, che considera impignorabili i soli strumenti strettamente necessari al debitore per l’esercizio della professione da cui egli ricava i propri mezzi di sostentamento. Cfr. Cass., 6 novembre 1993, n. 11002, in Rep. Foro it., 1993, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie, n. 33.
([8]) V. Cass., 25 ottobre 1994, n. 8756, in Rep Foro it., 1994, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie, n. 30.
([9]) Senza, con ciò, voler prendere parte all’annosa questione relativa ai rapporti tra le diverse categorie di beni pubblici, inquadrati dai vari autori con prospettive sempre mutevoli (v., ad es., A. M. SANDULLI, voce Beni pubblici, in Enc. dir., V, Milano, 1959, p. 277 ss.), si rileva che — da un punto di vista meramente pratico — la ripartizione operata dal legislatore tra demanio e patrimonio indisponibile pare assai meno opportuna di quella proposta dalla dottrina più moderna, la quale distingue fondamentalmente tra beni “attribuiti dalla legge allo Stato in appartenenza necessaria […] in ragione di determinate caratteristiche naturali o comunque oggettuali” (c. d. beni riservati) ed altri beni, idonei ad acquistare una pubblica destinazione in seguito all’attività della P. A. Cfr. V. CERULLI IRELLI, voce Beni pubblici, in Dig. disc. pubbl., Torino, 1987, II, p. 280 ss.
([10])
Si coglie, qui, l’occasione per ribadire il carattere indisponibile di
tutti i beni destinati ad un pubblico servizio, a prescindere dal fatto che
l’ente cui appartengono abbia natura territoriale. In senso contrario,
isolatamente, F. CANFORA, Beni degli
enti pubblici non territoriali destinati a un pubblico servizio e vincolo di
destinazione, in Rass. Giur. Enel,
1971, p. 419 ss.
([11]) Per i beni indisponibili, cfr. Cass., sez. unite, 29 aprile 1987, n. 4122, in Rep. Foro it., voce Esecuzione forzata in genere, n.17; Cass., 14 gennaio 1981, n. 323, in Foro it., 1981, I, c. 2354.
([12]) Come è stato a suo tempo osservato, i limiti appena indicati non coincidono tra loro, ma possono piuttosto rappresentarsi come distinti profili — l’uno (incommerciabilità o inalienabilità tout court, disposto dall’art. 823) strutturale e l’altro (indisponibilità ex art. 828) funzionale — di un medesimo fenomeno (cfr. E. CANNADA-BARTOLI, In tema di alienabilità di beni patrimoniali indisponibili, in Riv. trim. dir. pubbl., 1953, p. 818). Dal punto di vista pratico, in particolare, è opportuno rilevare che a differenza dei beni demaniali, quelli indisponibili “possono formare oggetto di negozi giuridici privati, compresi quelli traslativi della proprietà, che non sottraggano il bene alla destinazione ricevuta” (Cass., 27 novembre 1973, n. 3258, in Rep. Foro it., 1973, voce Demanio, n. 7; Cass., 18 dicembre 1985, n. 6453, in Rep. Foro it., 1985, voce Contratti della P. A., n. 123).
Nell’ambito della teoria che distingue tra beni riservati e beni a destinazione pubblica, mentre il limite della incommerciabilità si riferisce esclusivamente ai primi, quello della indisponibilità investe tutti i beni nei quali sia concretamente ravvisabile una pubblica destinazione (cfr. V. CERULLI IRELLI, op. cit., p. 291 ss. ed, in particolare, p. 294).
([13]) Cfr. P. VIRGA, Diritto Amministrativo, 1, Milano, 1995, p. 402; Cass., sez. unite, 15 aprile 1978, n. 1780, cit.
([15]) Cass., 7 luglio 1981, n. 4450, in Rep. Foro it., 1981, voce Concessioni amministrative, n. 5; TAR Lazio, Sez. II, 16 giugno 1988, n. 864, in Riv. arbitr., 1989, p. 499. L’orientamento tradizionale, invece, è nel senso di qualificare gli stessi beni come pubblici e di proprietà pubblica, in relazione alla natura del loro dominus: cfr. Cass., sez. unite, 2 maggio 1962, n. 849, in Foro Amm., 1963, II, p. 123; Cons. Stato, 17 novembre 1978, n. 1205, in Cons. Stato, 1978, I, p. 1777.
([16]) In generale, su questo concetto, v. T. ALIBRANDI, P. FERRI, I beni culturali e ambientali, Milano, 1985, p. 599 ss.
([17]) In questo senso, v. A. CHICCO, La destinazione di un bene a pubblico servizio, in Rass. Mens. Avv. Stato, 1955, p. 7 ss.; S. CASSARINO, op. cit., p. 83 ss., ed in particolare p. 87.
([18]) Cfr. Cass., 8 agosto 1968, n. 2835, in Giust. civ., 1968, p. 1474: TAR Lazio, sez. II, 30 gennaio 1984, n. 147, in TAR., 1984, p. 491; Cass., 10 luglio 1986, n. 4496, cit.; Cass., sez. unite, 23 giugno 1993, n. 6950, in Rep. Foro it., 1993, voce Demanio, n.9. In particolare, in tema di autoveicoli, v. Trib. Roma, 10 gennaio 1967, in Giust. civ., 1967, I, p. 638; Trib. Napoli, 14 dicembre 1984, cit. L’impignorabilità può anche derivare da un mutamento di destinazione della res, verificatosi nelle more del giudizio di opposizione all’esecuzione: v. Cass., 6 agosto 1987, n. 6755, in Nuova giur. civ. comm., 1988, I,. p. 189, con nota di D. SECCIA.
([19]) Si considerino, ad esempio, i libri di consistenza di cui agli artt. 11, lett. h e 30, reg. cont. St., 25 marzo 1924, n. 827 e gli inventari redatti ai sensi dell’art. 22 dello stesso regolamento.
([20]) Così Corte cost., 21 luglio 1981, n. 138, cit. Nello stesso senso, v. anche Cass., 10 luglio 1986, n. 4496, cit. Secondo l’opinione meno recente, invece, l’espropriazione di crediti e somme di denaro della P. A. avrebbe dovuto incontrare un naturale limite nella disciplina vigente in materia di bilancio degli enti pubblici, la quale vieta in modo tassativo di utilizzare le entrate per spese non previste in bilancio: cfr. G. GRECO, op. cit., c. 155 ss. Da qui, secondo alcuni, la necessità di classificare il denaro come bene sui generis, non inquadrabile in nessuna delle categorie predefinite dal legislatore: cfr. S. CASSARINO, op. cit., p. 53 ss. Ma queste obiezioni devono considerarsi prive di fondamento, riguardando le procedure di erogazione del denaro pubblico soltanto i pagamenti spontanei, e non quelli ottenuti secondo le modalità dell’espropriazione: v. Cass., sez. unite, 18 dicembre 1987, n. 9407, in Giust. civ., 1988, I, p. 2053.
([21]) Si vedano, in proposito, le considerazioni svolte dal Trib. Napoli, nella citata sentenza del 14 dicembre 1984.
[22]) La definizione, coniata da Cammeo nei primi anni ‘60, viene oggi ripresa da V. CERULLI IRELLI, op. cit., p. 279, nota 52.
([24]) Cfr. Trib. Napoli, 14 dicembre 1984, cit. Ai sensi dell’art. 5, l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, infatti, l’A. G. O. è in grado di rilevare — peraltro in via meramente incidentale — i soli vizi di legittimità del provvedimento amministrativo. Sul punto, v. P. VIRGA, op. cit., 2, p. 243 ss.
Indubbiamente, lo studio delle esecuzioni ai danni della P. A. mette in luce come, talvolta, la linea di demarcazione tra sindacato di merito e di legittimità sia alquanto labile. Si pensi alla valutazione — implicata dall’art. 514 cod. proc. civ. (Cass., 11 marzo 1987, n. 2523, in Rep. Foro it., 1987, voce Esecuzione per obbligazioni pecuniarie, n. 25) — in base alla quale il giudice deve stabilire se i beni del debitore siano o meno sovrabbondanti rispetto alle normali esigenze del medesimo: al contrario, non sembra che nel caso di specie fosse possibile affermare la sufficienza di un unico fotocopiatore in ordine al perseguimento degli obiettivi dell’Amministrazione, ritenendo l’altro pignorabile.