Brevi note in tema di multiproprietà. Prerogative e limiti della posizione del multiproprietario rispetto a quella del comunista.
Per
esaminare compiutamente l'istituto della multiproprietà occorre, anzitutto, premettere che
nella prassi commerciale esso assume caratteri non univoci, essendo date
le distinte figure della multiproprietà
ordinaria (o immobiliare
tout court), m. alberghiera e m.
azionaria.
Quanto alla multiproprietà azionaria, giurisprudenza e dottrina dominanti
escludono in modo categorico che essa si ricolleghi alla titolarità di un diritto reale sull’immobile,
la cui disponibilità materiale dipende dalla mera partecipazione del soggetto al
capitale della società alla quale la res continua ad appartenere (cfr. Cass.,
04.06.1999 n. 5494). Un accostamento con il diritto di proprietà sarebbe, in
tal caso, fuori luogo.
Diverso è il discorso relativo al contratto di multiproprietà ordinaria (di
cui quella alberghiera rappresenta una species),
che secondo i più darebbe effettivamente origine a situazioni di natura reale
(v. Cass. n. 5494/1999, cit.);
caratterizzate cioè dalla immediatezza (intesa questa come idoneità
dell’interesse sotteso al diritto a realizzarsi prescindendo dalla
collaborazione altrui) e dalla opponibilità erga
omnes (diritto di seguito; facoltà di rivendicare
la cosa da chiunque la possiede o la detiene) proprie dei diritti assoluti.
In base a tale assunto, ad esempio, la giurisprudenza di merito ha a suo tempo
considerato illegittima, per contrarietà all’ordine pubblico, la clausola di
uno statuto di multiproprietà immobiliare che prevedeva il diritto della società
affidataria della gestione dei beni e dei servizi comuni di impedire ai
multiproprietari morosi l’uso delle unità abitative nei periodi rispettivi,
facoltizzando la società medesima ad assegnarne il godimento a terzi: ciò in
quanto il ius ritentionis che la
società intendeva arrogarsi rappresenta una forma di garanzia concepibile con
esclusivo riferimento ai diritti di credito (Trib. Chiavari, 03.09.1993, in Riv.
notariato 1995, 1520 e in Nuova giur.
civ. comm. 1995, I, 950).
Un argomento decisivo a favore della tesi della realità sembra potersi trarre,
infine, dal D. lgs. 09.11.1998 n. 427, che seppure dedicato genericamente ai
“contratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento a tempo
parziale di beni immobili”, fa espresso riferimento ai contratti costitutivi o
traslativi di un “diritto reale [...] per un periodo determinato o
determinabile dell’anno non inferiore ad una settimana” (art. 1 lett. a).
Considerato, poi, che la normativa in esame, sorta in attuazione di una
direttiva comunitaria finalizzata alla tutela del consumatore, non disciplina in
modo specifico la situazione soggettiva de
quo, è facile osservare che essa ha, di fatto, ammesso una importante
deroga al principio di tipicità vigente in materia di iura ad rem.
I limiti riguardanti l’esercizio del diritto di multiproprietà discendono
essenzialmente dalla particolare natura del suo oggetto, che non conosce solo
dei confini spaziali, ma anche temporali, essendo posto in capo al suo titolare
un potere di godimento ciclico, concentrato in determinati periodi dell’anno,
pur se in perpetuo, di un bene appartenente anche a terzi.
Perciò è precluso al multiproprietario di operare sul bene tutte quelle
trasformazioni che potrebbero ostacolare il godimento dei suoi pari, nonché di
disporre del diritto oltre la propria quota spazio-temporale.
La costituzione di diritti reali parziari (quali multiusufrutto e
multiabitazione) e di diritti personali di godimento sembra invece ammissibile.
Partendo da queste premesse non pare, pertanto, fuori luogo accostare la figura
a quella della comunione pro indiviso,
essendo volta anch’essa ad attuare un equo contemperamento tra gli interessi
potenzialmente confliggenti di più aventi diritto sullo stesso bene.
D’altro canto, la grande vicinanza tra le due ipotesi di contitolarità viene
puntualmente registrata nelle diverse pronunce di merito che considerano i
comproprietari obbligati a costituire formalmente tra loro un condominio:
istituto che presuppone, appunto, una commistione tra comunione ordinaria e
proprietà esclusiva (così Trib. Napoli, 21.03.1989, in Giur. it., 1990, I, 2, c. 198 e in Giust. civ. 1990, I, p. 1216; Trib. Bolzano, 09.08.1993, in Resp.
civ. prev., 1994, p. 291).
Occorre, peraltro, tenere presente che mentre il regime di cui agli artt. 1100
ss. cod. civ.:
1.
sottintende la naturale promiscuità del godimento del bene che ricade in
comunione;
2.
lascia liberi i contitolari di determinare a loro piacimento le concrete
modalità di fruizione del bene, con decisioni adottate a maggioranza (idonee a
vincolare il singolo dissenziente, nei limiti in cui questo non venga escluso);
3.
accorda al singolo un diritto potestativo allo scioglimento della
comunione (art. 1111);
quello relativo al diritto di multiproprietà:
1.
presuppone in ogni caso il godimento turnario, che rappresenta un
requisito essenziale dell’oggetto del contratto di multiproprietà e che di
conseguenza
2.
può solo venir meno a seguito di una unanime manifestazione di volontà
dei contitolari in tal senso, che ponga nel nulla il precedente accordo
costitutivo della multiproprietà o, comunque, ne modifichi il tipo;
3.
cosicché il singolo:
a.
da una parte non è libero di sciogliere il consorzio instauratosi con
gli altri multiproprietari a prescindere dal volere di questi;
b.
dall’altra ha il potere inverso di paralizzare la maggioranza col
proprio diniego.
In compenso, nella prassi è normale prevedere dei meccanismi di scambio e di
circolazione dei beni in multiproprietà, considerati espressamente dal citato
D. lgs n. 427/1998 (art. 3 lett. d).
Non pare, infine, configurabile in capo al multiproprietario un diritto di
accrescimento analogo a quello stabilito in tema di comunione ereditaria dagli
artt. 674 ss. Le norme in questione si riferiscono, tuttavia, a un meccanismo
affatto peculiare, che si basa sulla volontà presunta del de cuius e opera solo quando non si può fare ricorso alla
sostituzione ordinaria o alla rappresentazione.
Esistono, in conclusione, sufficienti elementi per attribuire al contratto di
multiproprietà e al relativo diritto una rilevanza autonoma nell’ambito
dell’ordinamento.
Filippo Nissardi